Tempio di Giove (Zeus)

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Il tempio di Zeus o Giove Olimpico, costruito in calcarenite locale, è uno dei pochi edifici sacri agrigentini di cui è sicura l'attribuzione alla divinità ed era il più grande tempio dorico dell'Occidente.

L'edificio è noto da due fonti antiche. Polibio (II sec. a.C.) ne parla nella sua opera storica e lo descrive come incompiuto e Diodoro Siculo (I sec. a.C.) fornisce una descrizione dettagliata del tempio, che risulta, però, in alcuni punti problematica.

Sulla base di questo passo la realizzazione del tempio viene collocata dopo la vittoriosa battaglia sui Cartaginesi ad Himera nel 480 a.C.

Le più recenti indagini mettono in discussione questa datazione poichè il progetto del tempio di Giove Olimpico si discosta da quelli del tempio di Atena a Siracusa e del tempio di Himera, entrambi realizzati dopo l'accordo di pace del 480 a.C.

Non è escluso, pertanto, che la progettazione del tempio e l'inizio dei lavori per la sua realizzazione vadano collocati in un periodo precedente e si possano mettere in relazione con l'inizio della tirannia di Terone (488-472 a.C.).

I resti monumentali oggi visibili sono ciò che rimane a seguito delle distruzioni di epoca antica e recente, come quella avvenuta nel XVIII secolo quando le rovine divennero cava di pietra per la costruzione del molo di Porto Empedocle (1749-63).

Il grandioso edificio era collocato su una imponente piattaforma rettangolare su cui si ergeva un basamento (crepidoma) di cinque gradini, di cui quello superiore, alto il doppio dei restanti, formava una specie di podio che separava nettamente l'altezza del tempio dall'ambiente circostante.

Al posto del consueto colonnato aperto (peristasi) vi era un muro di recinzione rafforzato da semicolonne doriche (pseudo-peristasi), sette sui lati brevi e quattordici su quelli lunghi, a cui corrispondevano, nella parte interna, pilastri rettangolari.

Internamente il tempio era diviso in tre vani: quello centrale (cella) era preceduto da un atrio di ingresso (pronao) e seguito da un vano posteriore (opistodomo), delimitati da muri perimetrali scanditi da dodici pilastri sporgenti all'interno.

Elementi della decorazione architettonica della parte superiore del tempio (trabeazione) sono presenti tra le rovine, come i frammenti del frontone scolpito che, secondo la descrizione di Diodoro Siculo, era decorato su un lato da una gigantomachia e sull'altro dalla presa di Troia.

Una delle caratteristiche più singolari del tempio sono i Telamoni alti circa 8 metri, gigantesche figure mitologiche maschili che sostenevano la trabeazione. Spesso i Telamoni sono interpretati come simbolo dei "barbari" Cartaginesi sconfitti.

Dinnanzi la fronte orientale del tempio, ad una distanza di circa 50 metri, sono visibili i resti di un altare monumentale con scalinata che conduceva alla piattaforma per i sacrifici.

Numerosi scavi e studi per ricostruire l'aspetto originario del tempio sono stati eseguiti a partire dall'inizio del 1800, sino alle recenti indagini affidate dal Parco all'Istituto Archeologico Germanico di Roma (POR Sicilia 2000-2006).